Parità di genere? Nel lavoro, adeguare le condizioni alle specificità
Parità di genere? Nel lavoro, adeguare le condizioni alle specificità
Il gender gap riguarda tutte le categorie professionali, pur con alcune differenze legate alle fasce di età e di qualifica. Proprio per questo, il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e dell’emancipazione di tutte le donne e le ragazze rappresenta uno dei 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile che gli stati si sono impegnati a raggiungere entro il 2030.
La parità di genere è una tematica particolarmente sentita per una realtà come DVArea che opera nella filiera delle costruzioni (ambiente tradizionalmente maschile) e che si distingue per l’approccio innovativo. E non posso non pensare alla sempre iconica frase pronunciata da Gae Aulenti, scomparsa ormai già dieci anni fa, “L’architettura è un mestiere da uomini, ma ho sempre fatto finta di nulla”.
Il gender gap riguarda tutte le categorie professionali, pur con alcune differenze legate alle fasce di età e di qualifica. Proprio per questo, il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e dell’emancipazione di tutte le donne e le ragazze rappresenta uno dei 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile che gli stati si sono impegnati a raggiungere entro il 2030.
Come riportato nella comunicazione relativa alla strategia per la parità di genere 2020-2025 della Commissione Europea, finora nessuno stato membro ha raggiunto la parità tra uomini e donne. Nel mondo del lavoro continuano ad esserci divari a livello di retribuzioni, posizioni dirigenziali e nella partecipazione alla vita politica e istituzionale; permangono inoltre stereotipi di genere basati su un modello standardizzato di donna, uomo, ragazza e ragazzo che, uniti a quelli di razza, religione, disabilità, orientamento sessuale, amplificano il divario.In Italia, a partire dall’art. 3 della nostra Costituzione che proclama l’uguaglianza di fronte alla legge senza distinzione di sesso, il cammino non certo facile verso la parità di genere nel mondo del lavoro è tutt’altro che concluso.
Dal 1950 ad oggi, sono state promulgate una serie di Leggi in ottica di tutela e sostegno delle donne, di riconoscimento dei diritti basilari e garanzia delle Pari opportunità.
Tra le azioni più recenti, è stata pubblicata la Legge n. 162/2021 sulla parità salariale, che ha come obiettivo quello di sostenere le aziende virtuose che utilizzano buone pratiche in materia di uguaglianza di genere ed ha istituito il tavolo di lavoro permanente sulla certificazione di genere alle imprese, che mira ad attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere circa le opportunità di crescita in azienda, la parità salariale a parità di mansioni, le politiche di gestione delle differenze di genere e la tutela della maternità.
Il mondo del lavoro è pronto al raggiungimento di questo obiettivo?
Come ricorda Tanya Dabellani, Cfo DVArea, “Le leggi ci sono, le opportunità commerciali anche. La questione purtroppo si complica se una donna lavoratrice decide di essere madre. In questo caso (tranne talune eccezioni) va registrato che, per permettere il corretto inserimento in posizioni strategiche una professionista che è anche madre, la rete di supporto pubblico è irrisoria.
I servizi di anticipo e doposcuola che iniziano ad ottobre e finiscono a maggio, i nidi pubblici con liste d’attesa interminabili, sono solo alcuni esempi dei problemi organizzativi che toccano la quotidianità delle madri lavoratrici. Uno stato che non investe e non crea servizi pubblici per sostenerle è uno stato che crede in quest’obiettivo? Per chi è fortunato e può contare su una rete familiare fatta di nonni e zii poter lavorare a tutti i livelli è sicuramente più agevole, ma l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, non sui nonni. Io sono fortunata, DVArea è un classico esempio di come le aziende italiane siano in linea con la parità di genere. Mi è stata data la fiducia necessaria per assumere un incarico di responsabilità, un contratto che prevede un orario flessibile, la possibilità di usufruire dello smart working.
La mia vera fortuna però è data dal fatto che sono nata nella parte “giusta” del mondo. Un mondo in cui le pari opportunità si limitano ad un discorso di parità salariale, di tempi di conciliazione famiglia/lavoro. Purtroppo, ci sono ancora (troppi) Stati in cui una ragazza non può scegliere cosa leggere, come vestirsi, chi sposare, come disporre del proprio corpo. Per tutte loro l’uguaglianza di diritti è ancora un miraggio e questo dovrebbe essere la priorità in tutte le agende politiche internazionali. Per loro assolutamente no, non siamo vicino al goal 5. Per tutte loro dobbiamo e possiamo fare di più”.
Il Gender mainstreaming
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, varato per rilanciare lo sviluppo nazionale in seguito alla pandemia, affronta la tematica della parità di genere attraverso il Gender mainstreaming, un processo che consente di comprendere meglio le cause delle disparità tra donne e uomini nella nostra società e di identificare le strategie più adatte a combatterle.
Partendo dal presupposto che la partecipazione paritaria di uomini e donne a tutti i livelli della società svolge un ruolo essenziale nel garantire sviluppo e democrazia, il mainstreaming mette in discussione politiche assistenziali specificamente rivolte alle donne che non fanno che accentuare gli stereotipi di genere.
In altri termini, fino a che i modelli di lavoro che favoriscono la carriera saranno impostati su contratti di lavoro full-time, le donne risulteranno sempre in difficoltà dovendo mediare le esigenze lavorative con quelle familiari. Per migliorare l’equilibrio tra vita professionale e vita privata, bisogna quindi modificare i processi in modo che possano coinvolgere anche le donne. Perché la vera parità non si raggiunge trattando tutti i lavoratori (non solo per differenze di genere) allo stesso modo, ma adeguando le condizioni alle loro specificità.
Luisa Pogliana, studiosa di management, nel suo testo “Una sorprendente genealogia”, delinea chiaramente una nuova realtà nella quale le donne nel management, oltre ad essere numericamente rilevanti, stanno portando una nuova concezione del modo di governare le aziende, senza adattarsi alla cultura maschile dominante, ma anzi sono state fautrici di un cambiamento in quanto hanno interpretato il ruolo di manager con un’accezione sociale, improntata sulle relazioni umane e sulla ricerca di equilibrio all’interno delle singole organizzazioni.
Cosa sta succedendo nel settore scientifico-tecnologico?
Le donne che studiano e lavorano nel settore STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) sono ancora molto poche, anche se, soprattutto le giovani, hanno risultati migliori degli uomini nell’alfabetizzazione digitale.
Da un’indagine delle Acli pubblicata recentemente dal Corriere della Sera emerge che “il gap salariale con gli uomini è massimo fra chi ha solo il diploma di scuola media e si azzera del tutto per chi ha conseguito una laurea scientifica”: le laureate nelle materie STEM guadagnano come gli uomini e anche leggermente di più.
Secondo Marta Olivieri, Associate e Innovation manager DVArea, “Per cambiare serve tutto l’apporto che giovani scienziate, ricercatrici e donne di talento possono dare. Questo vale in ambito accademico quanto in quello lavorativo che sempre di più genera nuovi esempi da seguire. Lo sguardo femminile sa tenere insieme capacità, sensibilità e concretezza. Per investire, interconnettere, innovare. È la forza rigenerativa tipica delle donne. Di quelle donne mosse da passione che raggiungono traguardi anche impossibili da immaginare.
Il paradosso è che, nonostante il primo algoritmo al mondo sia stato scritto da una donna, la contessa Augusta Ada Byron, figlia del celebre poeta, oggi le prove di quanto algoritmi per niente neutrali aumentino i tanti gap maschi-femmine fino a renderli irrecuperabili sono ormai tante e incalzanti.
Un numero sempre maggiore di organizzazioni utilizza gli algoritmi per pubblicare annunci di lavoro online, vagliare curricula, programmare colloqui e definire l’inserimento in azienda. Ma gli algoritmi, spesso ritenuti un mezzo per accelerare il processo di selezione e ridurre pregiudizi inconsapevoli, possono produrre esiti discriminatori. Ciò accade sia perché apprendono da serie storiche sia perché possono essere stati settati con dati distorti e non del tutto rappresentativi.
Per favorire una maggiore partecipazione femminile servono modelli di riferimento e programmi di educazione mirata. Ad esempio, il progetto NERD? (Non È Roba Per Donne?) di IBM Italia, in collaborazione con 28 università su tutto il territorio nazionale, vuole diffondere la passione per l’informatica tra le giovani studentesse al fine di orientare le loro scelte universitarie e mostrare come l’Intelligenza Artificiale sia una disciplina creativa, interdisciplinare, sociale e basata sul problem solving. Tutte attività nelle quali le donne eccellono. Per migliorare il futuro sembra sia utile rispolverare il passato, prendendo esempio dalla contessa Byron. La tecnologia è bella, è bella l’intelligenza artificiale in quanto ha delle premesse enormi per tutti quanti, ma si deve fare in modo che l’innovazione, che è così importante, non si affermi sacrificando le battaglie fatte e ancora incompiute nel cammino verso l’uguaglianza”.
Bisogna lavorare sull’empowerment femminile
In una società come DVArea (composta da circa 90 tra soci, collaboratori e dipendenti), se non siamo ancora al pareggio in termini numerici, sicuramente stiamo raggiungendo il punto di equilibrio in termini di riconoscimenti professionali e ruoli apicali delle donne. La nostra esperienza quotidiana, anche considerando il punto di vista privilegiato sul mondo delle costruzioni e delle discipline scientifiche, ci dimostra che l’approccio femminile sia in ambito gestionale che in ambito progettuale e cantieristico non determina alcun tipo di resistenza negli stakeolder, siano essi clienti, partner progettuali o imprese di costruzione.
Secondo Ilaria Brescianini, Senior engineer di DVS, “Per empowerment femminile si intende non solo l’opportunità di accesso per le donne ai ruoli direttivi ed apicali, ma soprattutto la possibilità di essere messe in condizione di esprimere le proprie potenzialità e diventare protagoniste, e quindi parte attiva, nei processi aziendali al pari degli uomini.
Dal 2021 faccio parte della divisione strutture di DVArea e ho potuto sperimentare personalmente l’importanza del lavoro congiunto tra professionisti e professioniste. Questo è il nostro plus valore: non importa il genere dell’ingegnere ma il contributo e la professionalità che apporta per il raggiungimento degli obiettivi”.
Se siamo finalmente giunti al punto in cui è la professionalità ad influenzare i risultati e non il genere del professionista, questo lo dobbiamo anche al fatto che, sempre dalle parole di Marta “ognuno deve fare la sua parte: in DVArea promuoviamo l’inclusione come forza e le diversità come ricchezza verso il cambiamento, consapevoli che disparità oggi significa disparità nel futuro”.
E, nel gioco delle parti, il primo passo devono compierlo proprio le donne, giovani o adulte che siano, assumendo un ruolo attivo nell’ottenimento di questo risultato.
Quindi, cosa fare? Ripartire proprio da Gae Aulenti, cercando modelli femminili di leadership da seguire, attuando la parità di genere anche nel proprio nucleo familiare, utilizzando la dedizione al lavoro e l’ironia per superare gli stereotipi maschilisti.
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Alessandra Romanelli:
COO DVA – Associate DVArea.